La registrazione dell’audio è nata analogica, nel senso che fin dal primi tentativi con il fonografo di Edison il suono veniva registrato con delle scanalature “analoghe” al suono che veniva registrato, e rileggendo tali scanalature si metteva in vibrazione “analoga” la membrana della cornetta che riproduceva il suono registrato. Il metodo della registrazione analogica immagazzina i segnali sonori sul supporto come onde continue, al contrario della registrazione digitale in cui il suono viene immagazzinato come numeri descreti. Connaturati nel metodo analogico si evidenziano i limiti stessi del formato: il rumore dovuto allo sfregamento del sistema di lettura contro il supporto, la distorsione dovuta all’impossibilità di scrivere sul supporto una forma d’onda perfettamente uguale a quella in ingresso registrazione e di conseguenza in uscita in riproduzione, la risposta in frequenza non perfettamente piatta dovuta alla difficoltà di scrivere e riprodurre tutte le frequenze dello spettro con la medesima intensità, le variazioni e le fluttuazioni di velocità del trascinamento che influenzano la “tonalità” della riproduzione (wow & flutter)., per non parlare dello scadimento delle prestazioni al ripetersi delle riproduzioni, con peggioramento di tutti i parametri contemporaneamente. Al contrario invece nella registrazione digitale questi limiti sono funzione di due parametri: la quantizzazione e la frequenza di campionamento. Dati questi due parametri sapremo esattamente che rapporto segnale/rumore e quale risposta in frequenza e distorsione dovremo aspettarci. Siamo arrivati attualmente a standard di campionamento (che equivale a dire registrazione digitale) che oltrepassano in linea teorica le capacità delle migliori apparecchiature analogiche e dell’orecchio stesso. Considerando il formato dei files registrati con una workstation come Pro Tools HD, che è 24 bit/192 KHz, il rapporto segnale/rumore teorico sarebbe di 144 dB (!!), secondo la formula per cui ogni bit “rende” circa 6 dB, 24x6=144 dB, e la risposta in frequenza si estenderebbe fino ad oltre i 90 KHz (!!). Ed infatti, mentre per la risposta in frequenza siamo di fronte a valori che una buona circuitazione può senz’altro raggiungere, il rapporto segnale/rumore non va oltre i 122-125 dB nelle migliori realizzazioni, perchè con i componenti elettronici attuali c’è un rumore intrinseco “termico” al di sotto del quale non si può scendere. E ancora nel dominio digitale possiamo in teoria riascoltare un brano milioni di volte avendo sempre la stessa resa (grazie agli algoritmi di correzione di errore anche nella pratica possiamo dire lo stesso, a seconda del supporto usato). Siamo di fronte quindi, in questo caso, ad un formato audio che oltrepassa i limiti dello stato dell’arte della stessa circuitazione analogica. Il sistema con cui il suono viene registrato ed il supporto sul quale vengono scritte o codificate queste informazioni prendono il nome di formati audio. Ma non è tutto oro ........: il rapido sviluppo dell'audio digitale per contro ha originato anche una babele di formati per la creazione di file sonori, spesso fra loro incompatibili. L'introduzione dell'audio sui personal computer, infatti, è avvenuta senza una preventiva programmazione, nè poteva essere altrimenti: il nostro modello di sviluppo industriale è basato sulla competizione ed è, quindi, nemico della cooperazione e della condivisione della conoscenza. Per queste ragioni, quando si sviluppa qualcosa di completamente nuovo che non deve preservare il materiale già installato, si assiste sempre all'apparizione di una serie di formati proprietari, alcuni dei quali durano lo spazio di un mattino, mentre altri riescono ad imporsi in funzione non tanto della loro intelligenza e completezza, quanto della potenza commerciale del produttore. |
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